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Il Decreto Legislativo 231/2001 ha introdotto in Italia il Sistema di Responsabilità Amministrativa dell’Ente in base alla quale qualora un soggetto, dipendente o collaboratore, operante in una società, commetta uno dei reati presupposto, previsti dal D.lgs. 231/2001, a vantaggio della società stessa, questa potrà essere condannata e subire una delle sanzioni previste dallo stesso D.lgs. 231/2001. Tale responsabilità si aggiunge a quella della persona fisica che ha realizzato materialmente il fatto.

L’efficacia soggettiva del D.lgs. 231/2001 si basa sull’ente, inteso come un’organizzazione collettiva dotata di una certa autonomia organizzativa; lo scopo di lucro e la personalità giuridica sono criteri di individuazione dei soggetti ma non operano in assoluto.

Sono inoltre esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali (le regioni, le province i comuni), gli enti pubblici non economici, gli enti pubblici strumentali (autorità amministrative indipendenti) e quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Tra i vari reati presupposto, per i quali la società può essere chiamata a rispondere, rientrano: Reati societari, Indebita percezione di erogazioni da parte dello Stato, o altro Ente Pubblico o Comunità Europea, Concussione, Corruzione, Frode informatica in danno dello Stato o di un Ente pubblico e il trattamento illecito di dati, impiego di lavoratori stranieri irregolari, omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro, reati ambientali, Autoriciclaggio.

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Per essere esonerata dalla responsabilità amministrativa, la società deve dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, un modello di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

L’intervento normativo che, invece, ha completato il quadro dei reati-presupposto è stato quello del 2007, con l’introduzione dei reati colposi e più specificatamente l’omicidio colposo e le lesioni colpose gravi o gravissime dovute alla violazione delle norme per la tutela e la sicurezza sul lavoro.

Per quanto riguarda i reati tentati, nei quali si ha solo la commissione dell’azione o dell’omissione ma NON il verificarsi dell’evento, l’art. 26 c. 1 del D.lgs. 231/2001 dice che “le sanzioni pecuniarie o interdittive sono diminuite da un terzo alla metà in caso di tentativo dei reati previsti”.

Il 2° comma della stessa norma stabilisce che l’ente NON risponde quando impedisce volontariamente il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento; questa causa di esclusione della punibilità dell’ente è stata elaborata dal legislatore per indurre la persona giuridica a prevenire la commissione di reati da parte dei suoi dipendenti.

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Il criterio soggettivo di imputazione stabilisce che i reati-presupposto devono essere stati commessi dalle persone:

1. in posizione di vertice (lett. a) o

2. da quelle sottoposte alla direzione o vigilanza delle prime (lett. b); come ora vedremo, sul piano processuale, sono diverse le conseguenze prodotte dai criteri soggettivi.

Se il reato è stato commesso da un soggetto in posizione apicale, l’ente NON risponde se prova di aver adottato un efficace modello organizzativo, di aver attribuito la vigilanza sul medesimo ad un organo interno dotato di poteri autonomi di iniziativa e controllo, che la persona abbia commesso il reato eludendo fraudolentemente il modello; in questi casi l’esenzione dalla responsabilità deve essere provata dall’ente.

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L’interesse e il vantaggio sono i due criteri oggettivi di imputazione della responsabilità dell’ente ex art. 5 c.1 Dlgs. 231/2001.

L’interesse è identificato da un fine contenuto nella condotta delittuosa della persona fisica e per questo il giudice deve valutarlo ex ante, al momento dell’azione; infatti l’attuazione dell’interesse può verificarsi ma anche rimanere solo potenziale.

Il vantaggio, invece, è identificato da un profitto materiale ottenuto grazie alla commissione del reato anche indipendentemente dall’interesse del soggetto agente; infatti il vantaggio è sempre associato a beni materiali riconducibili al patrimonio.

L’art. 5 c.2 Dlgs. 231/2001 dice che “l’ente non risponde se le persone indicate al comma 1, hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”; la ratio della clausola di irresponsabilità dell’ente è evidente in quanto in assenza dei criteri oggettivi di imputazione, l’interesse o il vantaggio, la responsabilità della persona giuridica è esclusa.

L’art. 8 c.1 lett. a) Dlgs. 231/2001 dice che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato (o non è imputabile); da ciò si evince l’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella del soggetto agente.

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Quindi la responsabilità dell’ente sussiste, ed è accertabile dal giudice, anche se l’autore del reato-presupposto NON è stato identificato; in questo modo il pubblico ministero, qualora abbia acquisito scarsi elementi probatori a carico dell’autore del reato, può contestare l’illecito amministrativo alla sola persona giuridica.

Ma la conseguenza più importante prodotta da tale norma riguarda i reati commessi dal top management: infatti molto spesso accade che l’ente impedisca agli inquirenti di identificare il soggetto apicale responsabile della commissione del reato; in questi casi il pubblico ministero può contestare l’illecito alla sola persona giuridica presumendo che il reato sia stato commesso da un soggetto in posizione di vertice.

A questo punto sarà l’ente a dover dimostrare di aver adottato un efficace modello organizzativo.